I ricordi della scuola

di Alessandra Andreoli

Recentemente in una trasmissione televisiva con esperti si dialogava sull’educazione dei figli nell’epoca odierna e si poneva questo quesito: «Si deve esigere amore o rispetto dai propri genitori?».

Sono nata nel 1939 e non mi sono mai posta questo problema. Non si poteva transigere dall’ubbidire e dal non rispettare le volontà dei tuoi genitori.

Dovendo studiare a Bologna e abitando in un paese con poche possibilità di raggiungere con i mezzi questa località con frequenza giornaliera, i miei cari decisero che se non avessi accettato di rimanere in collegio avrei dovuto scegliere un’altra strada.

Non esitai a ubbidire ed entrai in un istituto religioso con regole ben precise. La scuola che frequentavo era vicina a Via Sant’Isaia ma ero obbligata a essere accompagnata alle lezioni da una signora che camminava dietro a me e mi impediva di fermarmi per avere un qualsiasi contatto umano. Rientravo in collegio e dovevo salutare con «Sia lodato Gesù Cristo» la suora che mi apriva la porta. Alloggiavo in una lunga camerata con altre ragazze e avevo un unico armadio numerato che conteneva tutti i miei indumenti e oggetti personali. Il corredo richiesto comprendeva un cappotto blu, con tanto di cappellino, un tailleur primaverile con camicetta e grembiule nero. Il tutto fatto su misura perchè rappresentava la divisa del collegio.

Gli indumenti servivano quando si poteva uscire, mentre il grembiule era l’uniforme giornaliera per stare in comunità.

Al mattino si presenziava alla S. Messa, poi ci si recava a scuola, al rientro il pranzo comunitario. Un breve permesso di svago in cortile e poi lo studio in un’aula sotto lo sguardo di una suora che ci sorvegliava per tutto il pomeriggio, dopo un brevissimo intervallo per la merenda.

Nel mio armadio avevo creato un piccolo scomparto dove riponevo le leccornie fornite dai miei cari. L’appetito non mi mancava poiché da Bondeno arrivavano le genuine marmellate preparate con cura dai miei familiari e i mitici dolci tortellini fritti, ricetta della mia zia Maria.

Non potevo guardare la televisione e alle ore 21,00 di ogni sera regnava il silenzio. Tutte noi ragazze andavamo a dormire.

La prima domenica di ogni mese ricevevo in parlatorio i miei genitori per circa un’oretta, mentre le altre domeniche in fila due per due si usciva all’esterno, passeggiando abitualmente sotto i portici di S. Luca e si arrivava così alla Basilica.

Sono rimasta cinque anni a Bologna e serbo un buon ricordo e non rimpiango di essere stata educata in questo modo. Mi hanno insegnato il rispetto, la pazienza, il sacrificio e sapersi comportare civilmente in ogni occasione.

Ora mi chiedo cosa sia rimasto, nel mondo della scuola di oggi, di questa severa educazione. A chi legge la risposta

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